domenica 11 gennaio 2009

Nel Museo di Ostia antica le statue del dio di chi arrivava dal Mare Nostrum

Nel Museo di Ostia antica le statue del dio di chi arrivava dal Mare Nostrum
SERGIO FRAU
DOMENICA, 11 GENNAIO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

Templi, sfingi, piramidi e obelischi quando i romani erano pazzi di Cleopatra

Il più appassionato era Adriano. Con un Oriente tutto suo da godere

Da dove iniziarlo questo viaggio nella Roma degli Altri - la Roma degli Egizi, per prima - se non, come si faceva un tempo, dai Serapide che ci sono nel museo di Ostia Antica, per chiedere a quel Dio una benedizione delle sue? Del resto chiunque arrivasse via mare dall´Egitto, fin qui, nella Capitale del Mondo, navigando un mare ormai tutto romano - il Mare ormai Nostrum, appunto - un ringraziamento a Serapide per avergli donato il «buon vento» per la traversata doveva pur farlo. E sì, Serapide & Iside, strana coppia davvero la loro: una coppia talmente divina che, man mano, con le loro promesse di vita eterna, conquistò i cuori di mezzo mondo... Perché lo sanno tutti che Iside, all´inizio, per millenni, con i Faraoni veri, era innanzitutto sorella e moglie non di Serapide, ma di Osiride, il dio smembrato da Seth e ricomposto pezzo a pezzo, con furia innamorata, proprio da lei, Iside, Signora del Cielo e del Mare. Chiaro che - una volta eredidato l´Egitto alla fine del IV secolo a. C. - i primissimi Tolomei fecero loro il pantheon egizio con gli Dei di lì, variandoli soltanto un po´. Nacque così Serapide: un po´ Osiride, un po´ Zeus. E sarà lui - un po´ egizio, un po´ greco - a essere celebrato quasi ovunque nei primi secoli della nostra era, tanto che a Roma le liturgie isiache venivano celebrate in greco.
Oddio, qui ad Ostia, in fatto di Divinità sbarcate in massa dall´Oriente per convertirci in blocco alle loro fedi, non c´è che l´imbarazzo della scelta: un Mitreo tra i più famosi del mondo, una Sinagoga, e templi, ed edicole, e uno dei primissimi Cristi di marmo intarsiato (in tournée, con l´Opus Sectile che lo contiene, al Medievale dell´Eur), tanto che poi l´intero museo sembra quasi un sacrario, per quante divinità racchiude. A ciascuno il suo Dio, insomma. C´è da perderci la testa. O da perdere la fede.
Ostia la si deve centellinare, ci si deve ritornare, godersela, seguirne i suggerimenti. Coccolarne le suggestioni che regala. E magari, solo dopo aver reso omaggio a quel suo Serapide, partire alla conquista della Roma degli Egizi, avendo ben chiaro che l´egittomania con tutti i suoi obelischi - che proprio da Ostia, per volontà degli imperatori, risalivano il Tevere; riesumati poi dai papi per segnare la loro urbanistica rinascimentale - esplode a Roma, conquistandola, quando ormai l´Egitto vero, non esiste più da almeno tre secoli.
Entrare a Roma da via Ostiense è quasi un obbligo. C´è lì, quasi a segnarne l´innesto con le mura della città, la Piramide di Caio Cestio che ha sempre incantato ogni artista arrivato qui, da noi. Carla Alfano, egittologa: «Spesso si pensa che questa di Caio Cestio sia stata un´isolata bizzarria architettonica: è invece soltanto la piramide meglio costruita, la meglio conservata. Pochi sanno che, dall´età augustea in poi, Roma si fregiò di moltissimi sepolcri piramidali, alti tra i 40 e 50 metri: al posto delle due Chiese gemelle di Piazza del Popolo c´erano due grandi piramidi, le Flaminie, a segnare il Tridente che da lì inizia, come a far da porte al Campo Marzio: le usarono tutti per cavarne pietre. Ce n´era un´altra un po´ più su, proprio in campo Marzio. In Vaticano la Piramide Cornelia, ribattezzata nei secoli dell´ignoranza «Meta Romuli», divenne poi per tutti la Piramide Vaticana. Fu distrutta nel 1500, tra le proteste degli uomini di cultura di allora, Raffaello compreso. Non era l´unica: tutta quella zona tra il Colle Vaticano fino a Grottarossa era una grande necropoli e decine di piramidi la punteggiavano. Oggi è rimasto poco o niente. Soltanto sull´Appia Antica si può vedere qualcosa di allora: quel che resta della Piramide dei Quintili e un´altra assai malmessa, al chilometro 8,6».
Roma, a vederla, così, con gli occhi di Carla Alfano - che a Campo Marzio e nella zona dell´antico Iseo (la cui area venne fagogitata dalla Chiesa di Santa Maria sopra Minerva) ha scavato - si fa egizia o, almeno, egittizzante: «Pochi raccontano che l´impianto urbanistico voluto da Augusto per la sua Roma è un impianto egiziano. E chi se lo ricorda più il pool di tecnici e ingegneri che accompagnarono Cleopatra nel suo anno e mezzo romano con Cesare? Alle loro sapienze dobbiamo la sua riforma del calendario, molte bonifiche dell´agro romano assai ben fatte e, almeno in parte, anche quell´impianto della Roma augustea».
Nel tratto che dalla Piramide Cestia punta verso il centro città con i suoi 13 obelischi 13 - guglie che per lo più ornavano le spine dei circhi e l´ingresso dei templi - vale la pena di fermarsi con lei ai Musei Capitolini per guardare con attenzione almeno tutte le sfingi, i coccodrilli, il bel leone di Nectanebo e, soprattutto, quelle tre colonne scolpite, nel Cortile («un unicum», segnala) che sono quasi un´istantanea di pietra dei riti che si svolgevano nell´Iseo Campense, un tempo trionfante a meno di dieci minuti dal Campidoglio.
Gran parte della roba egizia dei Capitolini proviene proprio da quella zona sacra, tra il Pantheon e Sant´Ignazio, dov´era l´Iseo. Altre sculture esposte erano di Adriano, il più egittomane degli imperatori tanto che nella sua Villa Adriana di Tivoli aveva un suo Canopo, un suo Serapeo: un Egitto tutto suo da godere. Fu lui a diffondere le statue del suo Antinoo/Osiride in tutto l´impero.
«Queste tre colonne dei Capitolini, però, sono davvero particolari» spiega la Alfano «Probabilmente vengono dal portico frontale dell´Iseo e, con i loro sacerdoti scolpiti ad altorilievo, ci permettono di assistere a un momento di un rito isiaco del tipo di quelli che Apuleio ci ha lasciato ben descritto nel suo "Asino d´oro". Anche il Museo Egizio Vaticano, però, nella sua III sala dominata da Iside/Demetra, ha allestito una piccola processione egizia in onore del risveglio di Osiris/Serapide, grazie alle statue che facevano bello e sacro il Serapeo di Adriano».
Scendendo dai Capitolini, uscendo dalla scalinata dove due leoni egizi (sempre provenienti dall´Iseo) sorvegliano la rampa, va fatto un omaggio a quella i Romani chiamano Madama Lucrezia: è proprio lì sotto, a Piazza San Marco, ed è, però - a guardarle il nodo sacro sul petto - quel che resta di una Iside colossale. Poche centinaia di metri per arrivare a casa sua: a Santa Maria Sopra Minerva. Era proprio lì sotto il più famoso delle centinaia di Isei, dedicati a questa Regina del Cielo, sparsi per l´Europa fino in Francia, Inghilterra, Germania. Il grande babbuino sacro - il «macacco» del dialetto romano - che ha dato il nome a via Santo Stefano del Cacco, ora è al Museo Egizio Vaticano che ne ha ricostruita la storia. Il grande piede di marmo, ex voto per Serapide, è invece ancora lì, all´angolo, a battezzare Via del Pie´ di marmo. Qualche passo ancora e - sull´elefantino bardato a festa davanti alla Chiesa - c´è uno degli obelischi dell´Iseo. Bernini voleva metterlo in mano a un Ercole sbalestrato. Il Papa e i domenicani glielo vietarono. Sulla fontana di Piazza della Rotonda un altro obelisco dell´Iseo. La meridiana che - con l´obelisco di Psammetico II - scandiva le giornate dei Romani è ancora lì, solo la piazza si chiama Montecitorio.
Carla Alfano: «Proprio in questa zona, poi, a metà del Seicento, abitò il gesuita Athanasius Kircher, uno dei primissimi che - studiando, raccogliendo, salvando reperti che affioravano da questo fazzolettone di terra - cercò di bucare i misteri che ancora avvolgevano l´Egitto. Al liceo Virgilio hanno ancora pezzi suoi. Con lui finisce l´egittomania e fa i primi passi l´egittologia». Roba lontana, lontanissima, questa, certo. Ma soltanto in parte: siamo noi che, ormai, abbiamo la memoria sempre più corta. Sono mille le tradizioni e le credenze di allora che sono arrivate fino a noi. Occhi di Iside sorvegliano ancor oggi la prua di migliaia di barche mediterranee. E forse non tutti sanno che ancora oggi, nelle loro tombe in San Pietro, i Pontefici Massimi di Roma riposano in pace, imbalsamati. Non solo: a Fontana di Trevi la chiesetta dei Santissimi Vincenzo e Anastasio che s´affaccia sulla piazza ha uno strano primato: conserva, esposte nelle loro urne, le viscere dei Papi. Proprio come - con i canopi, i vasi di morte - si è sempre fatto con i faraoni.

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