giovedì 11 dicembre 2008

Tra Raffaello e Giulio Romano, scoperte nella Roma del Cinquecento

Tra Raffaello e Giulio Romano, scoperte nella Roma del Cinquecento
CARLO ALBERTO BUCCI
MERCOLEDÌ, 10 DICEMBRE 2008 LA REPUBBLICA - Roma


Viaggio nella magnifica residenza Alberini in via del Banco di santo Spirito Dopo restauri e ritrovamenti
L´edificio mantiene l´impronta del genio del Rinascimento. Per studiarlo, due esperti di prima classe: Liutpold Frommel e Antonio Forcellino Ritorna alla luce un ciclo di affreschi frammentario ma considerato di grande interesse


Acqua nebulizzata, tamponi imbevuti, tanta pazienza e tanti soldi. Per ridare al tessuto frammentario della Roma rinascimentale - troppo spesso oscurata dalle voluminose e numerose volute dell´architettura barocca - uno dei suoi esempi più cristallini di armonia delle forme classiche: quel palazzo che Giulio Alberini volle edificare nella Wall Street della città papalina, via del Banco di Santo Spirito, terra dei banchieri fiorentini e in stretto contatto con la via Giulia attraverso cui papa Della Rovere estese la sua mano ordinatrice oltre il Tevere. Ora, sotto la coltre di pesanti ridipinture ottocentesche, è venuta fuori l´architettura originaria di palazzo Alberini. Ma anche un misterioso, quanto lacunoso, ciclo di affreschi del XVII secolo. E la magnifica magione, festeggiata stasera la fine dei lavori, da gennaio vedrà arrivare i nuovi inquilini, la Maison Gucci, ma, prima, sarà anche aperta alle visite (si sta studiando la formula di mini tour guidati, solo su richiesta).
Per restaurare l´edificio che mantiene l´impronta del genio di Raffaello, intervenuto negli anni Dieci del Cinquecento insieme con il suo allievo prediletto, Giulio Romano, l´ultima proprietaria del palazzetto, Angiola Armellini, che l´ha acquistato nel 2007, si è valsa della consulenza di due studiosi come Cristoph Luitpold Frommel (tra i massimi conoscitori dell´architettura del ?500) e come il restauratore Antonio Forcellino (autore peraltro della biografia Raffaello, una vita felice). Con il beneplacito della Soprintendenza, la ditta incaricata dei lavori ha iniziato la pulitura della facciata esterna che, insieme con le arcate interne, appartiene certamente al maestro di Urbino (1483-1520), coadiuvato però dal 1518 dal suo pupillo Giulio Pippi, allevato all´ombra del genio di Bramante, architetto di papa Giulio II, nella città dove nacque (Roma, 1499 - Mantova, 1566) e dalla quale ha preso il nome.
Liberati dal deposito nero dello smog il bugnato, le lesene e i mattoni "disegnati" sulla facciata da Giulio Romano, i restauratori hanno allestito i ponteggi nell´androne. E qui, sotto 5-6 mani di scialbature depositate nell´800 nel sottarco della volta hanno ritrovato i riquadri, le geometrie e le armonie classiciste. «Per me non c´è dubbio, qui c´è la mano di Raffaello con Giulio, o giù di lì», afferma Forcellino.
I materiali sono quelli della tradizione, travertino integrato con stucco (dipinto a finto travertino per risparmiare) e calce con polvere i marmo. Il palazzo, ultimato solo nella seconda metà del XIX secolo ma secondo una fedeltà al dettato raffaellesco tale che, nota Frommel, è stato «difficile distinguere le parti originali dalle ottocentesche», è stato sottoposto a un´integrale revisione delle decorazioni interne, lungo le pareti ma anche sui soffitti lignei. Ed è rimuovendo nel salone una decorazione in stucco e gesso che sono venuti fuori frammenti di dipinti di cui non si aveva notizia: «È un ciclo inedito di carattere religioso, purtroppo frammentario, ma di grande interesse», sottolinea Forcellino. Il restauratore, vista l´importanza e la delicatezza del lavoro, ha svestito gli abiti del consulente ed è salito sui ponteggi: «In alcuni punti la rimozione delle decorazioni ottocentesche rischiava di portarsi dietro anche le originarie pitture sottostanti, siamo dovuti intervenire con la pulitura a tampone, millimetro dopo millimetro: un lavoro difficilissimo ma i risultati sono esaltanti».

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