mercoledì 3 novembre 2010

Parco di Villa Borghese. Vandalismi, indifferenza, rifiuti e incuria. Così muore un patrimonio dell'umanità

Parco di Villa Borghese. Vandalismi, indifferenza, rifiuti e incuria. Così muore un patrimonio dell'umanità
Margherita D’Amico
Corriere della Sera – Roma 3/11/2010

Se pretendessimo dai nostri amministratori la creazione ex novo di un parco come Villa Borghese, opera di geniali architetti, botanici, mecenati, considerato dall'Unesco patrimonio dell'umanità, saremmo sciocchi e crudeli. Tuttavia, fra la realizzazione di un'opera straordinaria e la sua comprensione, corre un mondo. Anche menti semplici, infatti, possono capire con facilità di trovarsi alla presenza di un giardino pubblico unico, sia per collocazione, sia per disegno, sia per patrimonio arboreo, sia per la presenza di un rilevante numero di importanti musei. Ma ormai da parecchi anni Villa Borghese affonda nel degrado. Se Bertrand Delanoe, sindaco di Parigi, ama accogliere il visitatore nella distesa impeccabile dei giardini delle Tuileries, fra prati perfetti e aiuole che si alternano a seconda delle stagioni, e con orgoglio Boris Johnson sindaco di Londra spalanca i cancelli di Hyde Park fra magnifici roseti, scoiattoli, anatre, laghi e siepi custoditi da battaglioni di giardinieri, da noi Gianni Alemanno offre al cittadino e all'avventizio lo sconforto di una villa meravigliosa, i cui cespugli sovente fungono da gabinetto. Questa potrebbe considerarsi una stranezza, peraltro condivisa dal suo predecessore, se non fosse che parliamo di un bene comune in via di alienazione definitiva. Oltrepassato un certo limite il danno si fa perenne, e bisogna esserne coscienti. Nel lasciar correre, infatti, abbiamo sempre l'idea di poter recuperare. Specialmente per quanto riguarda il territorio, la natura. Nel caso di un parco storico, alberi secolari, ecosistemi antichi, non è affatto così. Basta guardare le fotografie di Villa Borghese vent'anni fa: è sparita Quando si insorge contro la privatizzazione del parco, vale a dire le folli concessioni a manifestazioni e concerti in luoghi già fragili e malconci come Piazza di Siena, non è un capriccio. Mezzi pesanti, impalcature, cavi elettrici, colossali impianti, per giorni invadono la Villa al momento di preparare, distruggendo e sfondando vegetazione e monumenti Quindi, ha luogo l'evento. Vedi lo spropositato villaggio sponsor del Concorso Ippico, il Fifa Fan Fest dei Mondiali di Calcio, i concerti di Renato Zero, la festa dell'Azione Cattolica. Fiumi di gente invadono il giardino e lasciano cartacce, lattine, rifiuti. Mattina e sera, gli altoparlanti infastidiscono le persone e terrorizzano gli animali. Se è tempo di nidi, le madri abbandonano le uova o i pulcini, e i piccoli muoiono. A giostra finita, si sbaracca. Di nuovo camion, gru, operai, ferraglie. La pulizia della Villa è irregolare e pessima. Ogni volta, diciamo addio a qualcosa: un pezzo della nostra storia e del nostro patrimonio. Perché? Per chi? Per sanare il bilancio pubblico? Cosa ricava il Comune dalla cessione della Villa a tali raduni? Cifre importanti, o la semplice occupazione del suolo pubblico? Sarebbe giusto saperlo. Inoltre, mettere a reddito così inopportunamente il parco potrebbe trovare senso teorico solo se congrui ricavati fossero investiti nella sua cura e conservazione. Altrimenti, l'unico vantaggio apparente è quello del consenso politico diretto, inutile alla comunità e al salvataggio di Villa Borghese.

lunedì 10 maggio 2010

Il Colosseo cade a pezzi, archeologi in allarme

Il Colosseo cade a pezzi, archeologi in allarme
CARLO ALBERTO BUCCI
LUNEDÌ, 10 MAGGIO 2010 LA REPUBBLICA

Si staccano dei frammenti.Gli esperti: intervenire subito. Il ministero: sponsor per il restauro

Il frammento di intonaco è caduto all´alba sulle reti di protezione, nessun pericolo per i turisti

ROMA - Il silenzio che all´alba circonda il Colosseo è stato rotto ieri alle sei dal tonfo di un pezzo di intonaco caduto dalla volta di un corridoio al pian terreno e franato sulla rete di protezione, così violentemente da romperla prima di polverizzarsi a terra. Nessun pericolo per i turisti visto che il monumento - 3 milioni e 200mila ingressi l´anno - in quell´ora era chiuso (ha aperto regolarmente alle 8.30 dopo che l´area critica è stata transennata). E nessun confronto con il boato che, proprio lì di fronte, sul Colle Oppio, il 30 marzo ha accompagnato il collasso devastante di un´intera volta delle gallerie traianee annesse alla Domus Aurea. Infatti, la porzione di malta risalente ai tempi dei Flavi, staccatasi ieri dal Colosseo, misura solo mezzo metro quadrato. «Eppure si è sfiorata la tragedia - denuncia la Confederazione italiana archeologi, attraverso la presidente Giorgia Leoni - perché se il crollo fosse avvenuto a monumento aperto, avrebbe potuto colpire i visitatori».
L´intonaco sbriciolato è un campanello di allarme per la tenuta del monumento simbolo di Roma, che ha molti gioielli a rischio: oltre alla Domus di Nerone e a quella di Tiberio sul Palatino, sono sotto la minaccia crolli le mura aureliane e la lunga dorsale degli splendidi acquedotti antichi. Per il Colosseo esiste già un finanziamento della Soprintendenza archeologica per prossimi interventi da 400mila e 360mila euro in due settori dello "stadio". «Ma c´è un piano da 23 milioni per un restauro completo - ha detto il sottosegretario ai Beni culturali, Francesco Giro - . Si stanno cercando gli sponsor e penso che in 15 giorni chiuderemo la partita». Si aggiunge all´appello la direttrice del Colosseo, Rossella Rea: «L´anfiteatro è stato un cantiere sin dalla nascita e adesso dobbiamo mettere mano anche a questo corridoio. Se gli sponsor ci sono, è ora che si facciano avanti. Comunque noi entro l´estate apriremo al pubblico il terzo anello e parte dei sotterranei».
A Roma ci si aspetta che nell´agone si getti innanzitutto Diego Della Valle. Mister Tod´s è stato indicato dal sindaco Alemanno come il capofila della cordata di imprenditori italiani disposti a mettere mano al portafoglio. E nel suo viaggio ad aprile in Giappone, Alemanno sarebbe tornato con almeno un industriale pronto a finanziare, come fecero i suoi connazionali per la Cappella Sistina, la rinascita del capolavoro di marmo e mattoni.
Il Campidoglio, responsabile della piazza, ha sempre avuto un rapporto conflittuale con lo Stato, che ha in cura il Colosseo. E l´uso disinvolto dell´area esterna - concessa per mega concerti e perfino per sedute di boxe e una kermesse calcistica - ha sempre trovato resistenze (spesso vane) da parte degli uffici ministeriali. Ora però alla caccia agli sponsor lavorano insieme Comune e Collegio romano, soprintendente statale (Giuseppe Proietti) e capitolino (Umberto Broccoli). E il 17 maggio Roberto Cecchi, l´architetto del ministero chiamato a sostituire Guido Bertolaso come commissario dell´archeologia romana, presenterà il suo rapporto sullo stato dell´arte. La parola d´ordine del libro è «manutenzione preventiva programmata». Quella che, avendo più soldi e più personale, avrebbe evitato il crollo di ieri mattina.

domenica 2 maggio 2010

venerdì 16 aprile 2010

I giardini del Paradiso. Storia degli Horti vaticani e dei Papi che li vollero

I giardini del Paradiso. Storia degli Horti vaticani e dei Papi che li vollero
Lilli Garrone
CORRIERE DELLA SERA 3 apr 2010 Roma

Il più antico giardino di Roma, ancor oggi rigoglioso, è qui: nei 22 ettari di verde dello Stato del Vaticano, dove si alternano fontane e boschetti, monumenti e panorami. È il «viridarium» , documentato fin dal Duecento all’interno della cinta muraria fatta edificare da Leone IV, primo di una complessa stratificazione di fasi costruttive molto diverse tra loro, secondo l’evoluzione del gusto e della personalità dei pontefici. Contrariamente, infatti, a quanto accade per le ville storiche della capitale dove gli eredi mirarono a proseguire l’opera degli avi – un esempio è villa Borghese - i Papi volevano lasciare un segno individuale del proprio passaggio, variando, a volte bruscamente i progetti iniziali.
Il volume Di Alberta Campitelli «Gli Horti dei Papi, i Giardini vaticani dal medioevo al novecento» (Jaca Book -pagine 348) è illustrato con foto, disegni e cartine d’epoca

Colpi di scena e cambi di paesaggi raccontati nel libro di Alberta Campitelli «Gli Horti dei Papi, i Giardini vaticani dal medioevo al novecento» (Jaca Book-pagine 348), dove la direttrice delle Ville e parchi storici della Sovrintendenza del Comune, racconta quanto è accaduto a questo verde nascosto: dall’Orto Botanico, impiantato accanto la Casina di Pio IV nel 1561 e smantellato nel 1659, quando Alessandro VII lo trasferì al Gianicolo, alla distruzione del pergolato del giardino segreto di Paolo III, alla sostituzione del rustico fondale della Fontana della Galera su ispirazione del Vignola con una parete a finto bugnato. Le pagine scorrono in un susseguirsi di foto, immagini e piante storiche, con disegni d’epoca che fanno rivivere quanto gli architetti del paesaggio hanno saputo produrre per la meraviglia dello sguardo. Strettamente connessi con lo sviluppo della basilica di San Pietro, i giardini vaticani vengono fatti risalire all’opera del cardinale Giovanni Gaetano Orsini, uomo di grande cultura ed esperto di piante medicinali. Divenuto Papa col nome di Niccolò III stabilì la propria residenza in Vaticano e nei tre anni del suo pontificato acquistò numerosi terreni e vigne, e «in questo quadro non poteva mancare un giardino – scrive Alberta Campitelli – quale richiamo al paradiso e quale raffigurazione in terra della Vergine Maria e delle sue virtù, con la presenza imprescindibile dell’acqua, elemento di vita e di salvezza». Ecco dunque il «viridarium», cinto da mura secondo l’uso medievale, in genere con un frutteto e con un Orto dei Semplici, ovvero la coltivazione di piante medicinali, e un orto botanico, uno dei primi della penisola.

Molte le cronache e i documenti inediti: Bonifacio IX usava potare le viti in prima persona e Niccolò V, come rivela la biografia di Giannozzo Manetti volle «un grande e splendido giardino, ricco di ogni genere di erbe e frutti e irrigato d’acqua perenne che il pontefice aveva portato fin lì con grandi spese». Nel libro si ripercorre anche la nascita del Belvedere di Innocenzo VIII e del cortile-teatro-giardino di Giulio II e Donato Bramante, il primo architettonico con terrazzamenti, aiuole simmetriche e fontane. Si conoscono i segreti di quello di Paolo III, con l’intervento di Jacopo Meneghino o i particolari della Casina di Pio IV, delle fontane seicentesche di Paolo V, con il suo «giardiniere» d’eccezione Johannes Faber, grazie al cui estro i giardini assumono la configurazione destinata a rimanere pressoché immutata nei secoli successivi. Almeno fino all’attuale e moderna immagine di città-stato, con i lavori che dal 1930 in poi trasformarono 13 ettari a vigna e orto nel monumentale verde di oggi, dagli ampi viali e dalle scenografiche prospettive, con la fontana della conchiglia o della navicella, con le aiuole simmetriche delimitate da basse siepi di bosso, con cedri, cipressi, palme, abeti e pini. L’ultimo capitolo è dedicato alla villa pontificia di Castel Gandolfo con il suo «singolare ed armonioso – conclude l’autrice – insieme di «flora et ruine» con gelsomini e rose che si arrampicano sugli antichi massi per ricreare con architetture vegetali quelle in pietra ormai perdute».

venerdì 9 aprile 2010

"No al cemento nell´Agro Romano"

"No al cemento nell´Agro Romano"
LAURA MARI
MERCOLEDÌ, 07 APRILE 2010 la repubblica - Roma

Domani e il 9 all´Auditorium la conferenza con le archistar: da Piano a Calatrava, da Hadid a Krier

L´appello di Fuksas alla vigilia del summit sull´Urbanistica

Più infrastrutture, maggiori collegamenti tra le periferie e la costruzione di nuovi edifici, senza distruggere l´Agro romano e progettando anche vari tipi di servizi, arredi urbani di qualità e spazi sociali. La ricetta per l´urbanizzazione futura di Roma arriva da Massimiliano Fuksas, una delle archistar che domani e venerdì parteciperanno al convegno organizzato dal Comune all´Auditorium e a cui interverranno anche Renzo Piano, Richard Meier, Zaha Hadid e Santiago Calatrava. Un workshop di due giorni per discutere dei possibili sviluppi del centro e della periferia della Capitale. «E a Roma - annuncia l´architetto Fuksas - mi piacerebbe costruire uno stadio del rock».


"Io Fuksas, archistar contro sogno un grande stadio del rock"
"Il progetto più urgente? Case, ma senza distruggere l´Agro romano"



il futuro di Roma è nello sviluppo delle periferie. Nel potenziamento delle infrastrutture, ma anche nella realizzazione di nuovi edifici intesi come "micro-quartieri", sfruttando gli spazi senza devastare l´Agro romano e costruendo un grande stadio del rock. Sono alcune delle idee che Massimiliano Fuksas, architetto romano di fama internazionale, esporrà domani e venerdì al summit delle archistar organizzato dal Campidoglio all´Auditorium nell´ambito del Progetto Millennium. Un tavolo di confronto convocato dal sindaco Alemanno per discutere della riqualificazione e sviluppo della città storica e delle zone periferiche, a cui parteciperanno, tra gli altri, Renzo Piano, Santiago Calatrava, Zaha Hadid, Richard Meier, Leon Krier, Richard Burdett e Peter Calthorpe.
«Il dato da cui bisogna partire - dice Massimiliano Fuksas - è che nel centro storico vivono solo 127 mila residenti, mentre è nei dintorni, nelle periferie, che vivono ormai oltre due milioni di persone. Questo significa - prosegue Fuksas - che non è più pensabile uno sviluppo radiocentrico della città». Per l´archistar che ha progettato la "Nuvola", il nuovo Palazzo dei Congressi dell´Eur, attualmente in costruzione, è indispensabile «investire sui collegamenti tra periferie, creando nuove linee della metro e dei tram, ma anche realizzando più collegamenti con l´aeroporto di Fiumicino e la stazione Tiburtina dell´Alta Velocità».
Massimiliano Fuksas (che parteciperà al convegno «a titolo gratuito» ed è comunque pronto a «devolvere eventuali compensi alla Fondazione Veronesi») concentrerà poi l´attenzione, sull´emergenza abitativa. «Non è acquistando case dai costruttori che si risolve il problema, né continuando a massacrare l´Agro romano con nuove costruzioni - precisa Fuksas - quei terreni sono stati già sfruttati fin troppo. Bisogna pensare a lungo termine, non secondo i criteri dell´emergenza. È necessario coniugare lo sviluppo urbanistico con quello architettonico, sfruttando i vuoti delle periferie e realizzando, ad esempio a Tor Bella Monaca, dei quartieri che ai palazzi associno adeguati arredi urbani, parchi, biblioteche e negozi». Quindi, il sogno dell´archistar per Roma. «Nella Capitale manca un grande stadio per il rock - dice Massimiliano Fuksas - e vorrei che il Comune mettesse a bando la creazione di uno "Zenit", strutture presenti in molti parti del mondo, dai costi esigui e in grado di ospitare concerti con 12 mila spettatori».

martedì 6 aprile 2010

Il crollo della Domus Aurea

Il crollo della Domus Aurea
Marco Lombardi
L’Unità 3/4/2010

La Bbc, che ha praticamente snobbato le recenti vicende elettorali italiane, ha altresì dedicato ampio spazio al crollo della volta nella Domus Aurea. Un bel servizio, dove questo inestimabile patrimonio storico è stato esaltato in tutta la sua bellezza, ma a cui seguiva una domanda implicita come è stato possibile tutto ciò ? Non sono un esperto in manutenzione di beni culturali, anzi. In tutta onestà, di cultura in generale, ma sono pronto a scommettere che altri paesi farebbero carte false per avere un decimo della nostra ricchezza artistica. Non mancano esempi storici, d'altronde, di grandi conquistatori stranieri che pensarono bene di riportare in patria qualche ricordino italiano dal valore incalcolabile. Ovviamente non poterono trasferirvi, blocco per blocco, chiese, monumenti e rovine d'epoca varia: per fortuna, o purtroppo, dipende dai punti di vista.

venerdì 12 marzo 2010

E la città di terracotta scoprì il marmo

La Repubblica 12.3.10
Intervista al curatore Eugenio La Rocca
E la città di terracotta scoprì il marmo
di Raffaella De Santis

«Per prima volta viene dedicata un´intera mostra all´arte romana del tardo ellenismo». Eugenio La Rocca, professore di archeologia e storia dell´arte greca e romana, curatore de L´Età della conquista ai Musei Capitolini, sottolinea così la particolarità di questa grande esposizione. Tra statuette di terracotta e marmi colossali, tra posture rigide o vivificate da orientale sensualità, la mostra è un percorso dentro un mondo in fermento, risultato del contatto tra cultura greca e romana.
Professore, come cambia l´arte romana in questi anni?
«E´ questo il momento, dopo le vittoriose campagne militari sugli stati greci e asiatici, in cui il marmo fa la sua apparizione e i moduli dell´arte romana iniziano a essere influenzati da quella greca. Prima Roma era una città di legno e terracotta».
Le enormi teste in mostra si rifanno al modello greco?
«Le dimensioni colossali della scultura romana di questo periodo sono un´innovazione greca. Certo i colossi romani non erano grandi come l´Athena Partenos e lo Zeus di Fidia, ma potevano arrivare a misurare fino a cinque volte il vero».
Come furono accolte le innovazioni? Catone il Censore condannò la nuova arte.
«Catone temeva che il costume romano potesse degenerare a contatto con le influenze greche, ma era destinato a perdere la sua battaglia».
Era anche allora in corso uno scontro tra progressisti e conservatori?
«Tra chi voleva che Roma si aprisse al mondo orientale e chi identificava le virtù romane in una tradizione parca: donne senza gioielli e uomini rudi. Ma i romani impararono a vivere nel lusso, in ville con giardini, statue e fontane. Tanto che anche le case più povere esponevano statuette simili ai nostri sette nani».
Che influenza avrà la cultura greco-romana sullo sviluppo dell´arte occidentale?
«Resterà il modello insuperato per la cultura artistica occidentale, fino ai giorni nostri. Ma si deve piuttosto parlare di una nuova classicità. In Michelangelo, Rosso Fiorentino, Pontormo, in David o in Picasso e Bacon le forme classiche rivivono ogni volta in modo diverso».
La mostra è il primo passo di un ciclo dedicato all´arte romana antica. E´ stato difficile riunire le opere?
«Molte vengono dai grandi musei europei. La testa di Catone dal Louvre e le statuette in terracotta dal British Museum. Poi ci sono i prestiti dal Museo Archeologico Nazionale di Atene, tra cui la testa di Ercole di Polykles, quelle di Athena di Euboulides e del gigante Anytos di Damophon di Messene, e anche lo Zeus di Eukleides».