venerdì 14 agosto 2009

L´arte perduta. Vernice e cemento la jeanseria sfratta il fregio di Leoncillo

L´arte perduta. Vernice e cemento la jeanseria sfratta il fregio di Leoncillo
CARLO ALBERTO BUCCI
GIOVEDÌ, 13 AGOSTO 2009 LA REPUBBLICA - RomA

Un lavoro ispirato alla costiera amalfitana nel ristorante di Fellini e Mastroianni

Capri ricoperta di grigio come Pompei seppellita dalla cenere del Vesuvio. Così il murale d´autore sulle pareti di un locale storico di Roma scompare tra gli arredi "new brutalism", gli scaffali e i vestiti alla moda di una gigantesca jeanseria. Una mano di vernice grigia ha spento la vibrazione del graffito, ispirato alla Costiera Amalfitana, che Leoncillo Leonardi realizzò durante il Ventennio scavando immagini e segni nel muro dell´osteria "Capri" di via della Frezza.
Quell´opera d´arte è rimasta intatta nella sala del camino anche negli anni in cui, a partire dal 1952, il locale è stato trasformato nell´"Augustea" di Ludovico e del figlio Romolo Angelieri: il ristorante dei dopo teatro di Mastroianni e Fellini, delle tavolate d´artista con Carla Accardi, Luigi Ontani, Jannis Kounellis, ma anche delle cene di Craxi, Martelli e De Michelis nella "Roma da bere" degli anni Ottanta.
Non sappiamo che fine abbia fatto la boiserie in stile impero, con clipei e busti di imperatori alle pareti, realizzata nel dopoguerra per far sentire gli avventori avvolti nel clima di Roma antica formato Cinecittà e nell´impero vero del vicinissimo mausoleo di Augusto. Ma il paesaggio caprese reinventato dal grande ceramista e scultore umbro (Leoncillo nacque a Spoleto nel 1915 e morì a Roma nel 1968) è ancora lì, nella saletta dell´"Augustea" che portava alle cucine. Eppure l´opera è irriconoscibile. Il contesto è completamente cambiato. E l´immagine appare snaturata.
L´arredamento del "Levi´s Store" inaugurato su via del Corso il 4 luglio è ispirato alla metropoli americana (muri di mattoni a vista, travi e putrelle di acciaio, pareti délabré come quelle delle periferie abbandonate o di alcuni capi di abbigliamento) e non alle curve della Costiera amalfitana. In più, sul segno leggerissimo del maestro umbro - che nella sua opera partì da una figurazione di impianto espressionista (l´Arpia, il San Sebastiano, la Madre romana uccisa dai tedeschi) per approdare alla grande stagione dell´Informale - è stata stesa una pesante mano di vernice color cenere.
Notizie su questa commissione romana dell´artista (una delle tante decorazioni realizzate per palazzi e locali della sua città d´adozione) si trovano probabilmente nell´archivio privato, ancora da studiare, lasciato dagli eredi a Spoleto. Il ricordo più fresco e preciso del graffito originario è però nelle parole di Luigi Ontani che nel 2003, su queste pagine, davanti alla notizia che l´Augustea chiudeva i battenti, tra l´altro scriveva: «È vero, nella trama dei segni impressi nell´intonaco si può riconoscere una barchetta, oppure uno scoglio. Ma il senso generale dell´opera è quello di un miraggio. Un miraggio astratto che è sopravvissuto fino a oggi». Poi l´appello: «Dobbiamo fare in modo che possa tornare ad apparire ai viandanti cui Roma sempre mostra, con disinvoltura, i suoi segreti».

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